mercoledì, ottobre 18, 2006

SINDROME DI STOCCOLMA - Svezia-Italia due a zero

di Marco Travaglio
Una settimana dopo il suo insediamento, il governo svedese del conservatore Fredrik Reinfeldt ha già perso per strada due ministri e, molto probabilmente, ne perderà presto un terzo. Cecilia Stego Chilo, responsabile della Cultura, s’è dimessa dal governo perché giornali e televisioni hanno scoperto che ha evaso il canone della tv pubblica e non ha pagato i contributi alla tata dei suoi figli. «Non pagare l’abbonamento alla televisione pubblica - ha dichiarato la ministra uscente mentre usciva, scusandosi con il popolo svedese - e assumere in nero una baby sitter sono infrazioni inaccettabili». Maria Borelius, ministra del Commercio estero, s’è dimessa sia dal Parlamento sia dal governo perché giornali e tv hanno scoperto che ha assunto una badante in nero, non ha pagato le tasse sulla casa delle vacanze intestata a una società off-shore, ha venduto azioni di una società senza informare gl’ispettori finanziari e, anche lei, ha evaso il canone tv. In una pubblica dichiarazione, la donna ha detto: «La pressione della stampa sulla mia famiglia, i miei amici e persino i miei vicini di casa mi ha reso impossibile una vita normale». Intanto, prima che la stampa tirasse in ballo anche lui, il ministro dell’Immigrazione Tobias Billstrom s’è autodenunciato pubblicamente: «Anch’io non ho pagato il canone». Per ora rimane al suo posto, ma a Stoccolma si accettano scommesse su quanto durerà. Lì le carriere dei politici vengono stroncate per molto meno: nel ’95 la popolarissima ministra Mona Sahlin fu costretta a ritirarsi a vita privata per altro gravissimo illecito: aveva acquistato dolci per i figli con la carta di credito ministeriale. Nell’ultima campagna elettorale, il premier uscente Goran Persson aveva accusato il rivale conservatore Reinfeldt di aver assunto una tata in modo irregolare: Reinfeldt l’aveva sbugiardato, esibendo le ricevute dei versamenti previdenziali.
È fin troppo facile immaginare che accadrebbe in casi analoghi in Italia, dove per molto peggio si diventa, come minimo, presidente del Consiglio. Non c’è neppure bisogno di attivare la fantasia: da noi casi analoghi accadono di continuo, con qualche piccola differenza. Anzitutto, del canone e delle colf nemmeno si parla, visto che abbiamo in Parlamento 84 tra pregiudicati (25), condannati provvisori, imputati, indagati e prescritti per reati che vanno dall’omicidio alla mafia, dalla corruzione alla concussione, dalla truffa all’abuso edilizio, dalle percosse alle lesioni, dalla detenzione di esplosivi alla banda armata, dall’incendio alla frode fiscale, dal falso in bilancio all’adulterazione di vini. In secondo luogo, l’evasione del canone e dei contributi è stata condonata dai 12 colpi di spugna varati nella penultima finanziaria del governo Berlusconi. E comunque sarebbe tutto coperto dall’indulto. Ma, soprattutto, in Italia non si dimette nessuno: a parte Di Pietro e Storace, non si ricordano nella presunta Seconda Repubblica altri ministri inquisiti che se ne siano andati. Anzi, di solito fanno carriera. Ministri che chiedano scusa, poi, non se ne conoscono proprio. Anche perché nessuno gliele chiede, le scuse. Nelle vere democrazie, sono la stampa e le tv a premere sui politici perché diano spiegazioni ed, eventualmente, dimissioni. In Italia si preferisce alzare cortine fumogene per confondere la gente, a base di slogan intraducibili in qualunque altra lingua diversa dalla nostra. Appena scoppia uno scandalo, salta subito su qualcuno a invocare il segreto istruttorio, come se un politico potesse difendersi dall’accusa di rubare rispondendo: «È un segreto». Poi si invoca la privacy. Poi si assicura «massima solidarietà» al povero perseguitato, che intanto va da Vespa e da Ferrara a farsi assolvere. Poi si invita la magistratura a non invadere il campo della politica. Poi si indaga sul colore delle toghe che hanno scoperto lo scandalo. Poi si apre il dibattito sul primato della politica. Poi si mette in guardia dal giustizialismo, dal giacobinismo, dal girotondismo, dal moralismo, dal circuito mediatico-giudiziario. Poi si ricorda la presunzione di innocenza, come se bisognasse aspettare la sentenza di Cassazione per liberarsi di un politico indegno. Poi si corre a tagliare le unghie ai magistrati che indagano troppo, a punire severamente i giornali che scrivono troppo, e a rafforzare l’immunità parlamentare per i politici che delinquono troppo. A proposito: dov’è che si firma per iscriversi alla Svezia?

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